mercoledì, ottobre 31, 2007

E' il modo, non il medium 


Rick Milenthal in questo interessantissimo articolo ci da una conferma sull'evoluzione nei processi di fruizione dei media da parte di un'utenza sempre più smart e sempre più consapevole.

"Spending time with consumers in the real world, where and when they actually engage with media, enabled us to see that when they spend time with media, they do it with a purpose, goal or need that drives their behavior. They enter different modes, or mind-sets, that drive their choices, actions and receptivity to marketing messages. "
La pubblicità non si deve più adattare solo ai diversi segmenti di utenza e ai diversi contesti, ma anche e sopratutto ai diversi stati mentali.

"To be successful in this new marketing era, we need not focus on the media, but the modes that consumers are in when they interact with and experience our messages. Regardless of whether the medium is online, TV, print or radio, the key is to understand the consumer's desired experience and craft our messages to help deliver that experience to consumers. When we align our messages with the modes that consumers are in, we can actually become a part of the experience that consumers are seeking. "

I media tradizionali hanno sempre fatto riferimento a due modi principali: informazione ed entertainment

Historically, two consumer modes have been well-served by the media -- information and entertainment. In the passive model, consumers were able to subconsciously switch between information gained through watching the 6 p.m. news to the entertaining antics of prime-time sitcoms and telemovies. But that model is history, and today's media-rich environment requires a far broader exploration of modes.

Grazie ai media digitali le regole sono cambiate e i modi sono molti di più

The rules have changed. We must match our message with the mode. No one wants to be disrupted with informative messages when they're in entertainment mode -- it's jarring and off-putting. Being subjected to a humorous message when you're searching for something serious is no picnic, either. We can help by providing the means, motivation and reason to pass along the message.

Comunicare attraverso il giusto "modus" è fondamentale in un panorama mediale sempre più complesso

If we want to succeed, we must stop shoving irrelevant, ill-timed content down people's throats. What matters is what people show and tell us, and our work should reflect what we know about them. We have all the resources necessary to identify what mode consumers are in at any given time. Aligning the message with the mode will determine whether our messages make it into consumer consciousness or become more wasted marketing efforts.

I modi sono diversi, ma sei sono quelli principali:

  1. ENTERTAINMENT
    People in Entertainment mode are on a mission to be amused. This mode has been around for years (and has been well-served by the media), and TV is still at the forefront.

  2. INFORMATION
    Information-seekers are looking for knowledge to help them make decisions. This mode also has been around for a long time, but now people are searching for information online as opposed to in newspapers and card catalogs.

  3. DISCOVERY
    When consumers look for something new—whether it's a dessert recipe, a tropical vacation spot or a new station wagon—they're in Discovery mode. They do this because they want to nourish their minds.

  4. CONNECTING
    Consumers in Connecting mode are building relationships. They now have a world of tools enabling them to stay in touch with friends and family. E-mail is the most popular choice, and social-networking sites give them the next best thing to being there. Text messaging and online gaming allow them to have continuous and instantaneous connections.

  5. SHARING
    Similar to connecting, Sharing mode is a way to create common ground. Video- and image-sharing sites invite millions of people to swap their experiences.

  6. EXPRESSING
    Expressing mode refers to conveying an individual point of view. This is essential because almost anyone can become a valued resource by posting a blog, vlog or podcast
    .
La pubblicità non è l'unico modo per comunicare un messaggio di marca, le imprese oggi devono fare i conti con un numero crescente di modi e di forme per trasmettere il proprio messaggio ai prori clienti, attuali e potenziali.

martedì, ottobre 30, 2007

La paura nel tempo ... e i media 

Riflessione semiseria sull'evoluzione del concetto di paura nel tempo ed evoluzione dei media

E' un'altra esilarante vignetta di Doug Savage.

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The Halloween Mash Up 



Dolcetto o scherzetto?

Dedicato a tutti quelli che in cuor loro sono rimasti bambini.

I mezzi giustificano il fine? 


E' sempre stato così.

Mi ricordo quando ieri alcune società proponevano di "remunerare" gli utenti per la visione di "spot pubblicitari", sul web, o per l'ascolto sul mobile o via telefono, "vendendo" questa, "attenzione" ad inserzionisti pubblicitari. Molte di queste società sono fallite. Oggi qualcuno vuole "remunerare i blogger" affinchè scrivano di un prodotto o di un servizio. Funzionerà?

Oggi molte agenzie che si occupano di marketing virale, misurano il successo di un'iniziativa in base al "diffusion rate" di un messaggio. A proposito di chi era quel video divertente che ho inoltrato a tutti i miei amici?

Altre agenzie non convenzionali si sforzano di trovare ogni giorno nuovi modi per sorprendere il "consumatore", attraverso iniziative spettacolari, inaspettate e in luoghi inusuali. Grazie, è stato bello giocare con la pallina da ping pong inserita nell'urinatoio, ma adesso torno al mio meeting.

Siamo sicuri che: "i mezzi giustificano sempre il fine"?

L'immagine è di Rangelmd

lunedì, ottobre 29, 2007

Il prodotto è l'esperienza 


L'argomento non è nuovo, ma questa è una presentazione godibilissima, che vale la pena ascoltare più volte.

Enjoy

Il successo di un blog 


Caterina, segnala un post di Williamnessuno, che fa il punto sugli elementi di successo di un blog.

Va letto con attenzione, perchè gli spunti di riflessione sono tanti. Ovviamente i commenti in entrambi i blog, sono parte integrante di questa interessante conversazione.

La vignetta è di Gapingvoid

Dimenticati il pagerank 



Il mio modo di partecipare alla conversazione su pagerank e blogs è di segnalare le "parole" di Darren Rowse.

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domenica, ottobre 28, 2007

Il viral marketing non funziona 

L'immagine è di Jeremiah Owyang

Facciamo un video virale? 



Il caso del posizionamento della seconda generazione dell' Audi TT sul competitivo mercato australiano.

In questo interessante video si spiega come il superamento della "logica dello spot" richiede di non cedere ai paradigmi semplicistici per la "nuova comunicazione di marketing".

Si tratta di ben altro che limitarsi a creare un video virale. L'approccio non può che essere strategico.

sabato, ottobre 27, 2007

Change your mind 


Adoro i manifesti di Change This, che seguo con regolarità da tanto tempo (ma questo lo sapete già). Ho sempre desiderato scrivere un manifesto e confrontarmi con tante menti libere.

Anche Gianluca Arnesano, adora Change This, ma c'è una grande differenza tra lui è me.

Lui il manifesto lo ha scritto davvero e se volete che veda la luce, lo dovete votare tutti compatti!!

Io ho già votato.

L'immagine è di Paddik Files

Fuga dall'autoschiavitù 



Belle, bellissime, le immagini di SuZen. Una legittima fuga dall'autoschiavitù, "indotta" dall'industria dell'immagine, della moda e della bellezza.

Un po' di spazio per gli studenti, please 

Parlando con alcuni miei studenti ho chiesto loro di identificare una campagna innovativa di comunicazione ed una brutta campagna e di motivare i loro giudizi.

Mi sono meravigliato, nell'apprendere che molti conoscevano e apprezzavano la campagna di Cadbury, mentre è stata bocciata senza appello la campagna Snai ritenuta da loro dilettantesca e di bassa qualità. "Forse Oliviero Toscani voleva provocare gli studenti, c'è riuscito senza alcun dubbio.

E' vero che ci sono tanti studenti lavativi, ma alcuni sono davvero straordinari e molto aggiornati.

Mi auguro solo che le "vecchie generazioni" lascino loro un po' di spazio.

La foto è di Academy Art (con cui non ho alcuna relazione)

giovedì, ottobre 25, 2007

In your eyes 

La nuova scuola dell'advertising si fa strada 


Credits per l'immagine Roberts Playground

OTS, GRP, Internet e costi contatto 

Mirko in un suo commento ad un mio post formula un interessante interrogativo.

"Quanto vale ad esempio una views proattiva di un video su Internet rispetto ad una OTS (Opportunity to See) di un piano media tradizionale? Intendo dire, sarebbe utile capire qual è l'equivalenza fra un contatto quantitativo passivo di spot tv e stampa, per esempio, (tra l'altro non verificato) e uno qualitativo realizzato con atteggiamento di attenzione da parte dell'utente... "

Non posso dare una risposta assoluta, perchè sono convinto che questo argomento sarà ampiamente dibattuto con opinioni fra loro molto discordanti in funzione dei presupposti.

Ragioniamo per gradi e cominciamo a confrontare una pianificazione media con una distribuzione di un contenuto video sui social m
edia.

Supponiamo di considerare un video pubblicitario pianificato ad esempio sul sito del Corriere della Sera e diffuso attraverso i siti di video sharing, vediamo nella tabella le due situzioni a confronto.


La pianificazione di uno spot pubblicitario su un sito è tanto più conveniente, quanto più è forte l'effetto endorsement e quanto più preciso è il target. Se ragioniamo in termini di costo contatto puro è evidente che un sito generalista a parità di condizioni non appare una scelta conveniente. Ma conveniente rispetto a cosa?

Se già cominciamo a misurare gli effetti dell'esposizione allora le cose possono cambiare. Come cambiano ad esempio le propensioni all'acquisto, gli atteggiamenti, la brand favourability in un caso o nell'altro? Solo una ricerca è in grado di rilevarlo. Sono sicuro che i risultati potrebbero essere differenti in funzione del prodotto, delle caratteristiche del brand e dei target a cui ci si vuole rivolgere.

La domanda di Mirko è molto ragionevole, dovrebbe indurre i siti generalisti come il Corriere.it a qualificare meglio l'offerta pubblicitaria per gli spot di rete.

Per quanto riguarda il confronto tra esposizione web contro esposizione sulla tv, è veramente difficile dare una risposta in assenza di una ricerca, perchè la differenza potrebbe essere in termini di coefficiente di impatto, che potrebbe essere differente sui due media.

Ritengo comunque scorretto metodologicamente confrontare internet con la tv, piuttosto mi chiederei, come ottimizzare il media mix tenendo conto delle peculiarità di ogni mezzo in funzione dei target che si vogliono raggiungere, alla luce degli obiettivi prefissati.

Su una cosa ho invece un'idea molto chiara, pianificare uno spot su internet come se si trattasse di una pianificazione televisiva, significa avere ampiamente sottovalutato le potenzialità di internet come medium, perchè internet è molto più di un medium.

Su questi temi sto lavorando come consulente editoriale, tornerò quindi sull'argomento.

Come fai a spiegare.... 


Come fai a spiegare a chi proprio non vuole capire, che l'informazione è importante, ma che oggi è solo una materia prima che le persone vogliono adattare, aggiustare, ricreare, utilizzare nei propri modi e tempi e che non si può temere di perdere un "controllo" che oggi non si ha più?

"Sharing and being social is how we humans got out of caves"

Viral marketing e word of mouth 

Molto interessante la discussione che ha avuto luogo sul buzz marketing che ha avuto luogo qui.

E' molto importante comprendere la differenza tra buzz o word of mouth e viral.

Seth, lo ha spiegato con la solita chiarezza, evidenziando similarità e differenze tra i due termini.

Viral marketing [does not equal] word of mouth. Here's why:

Word of mouth is a decaying function. A marketer does something and a consumer tells five or ten friends. And that's it. It amplifies the marketing action and then fades, usually quickly. A lousy flight on United Airlines is word of mouth. A great meal at Momofuku is word of mouth.

Viral marketing is a compounding function. A marketer does something and then a consumer tells five or ten people. Then then they tell five or ten people. And it repeats. And grows and grows. Like a virus spreading through a population. The marketer doesn't have to actually do anything else. (They can help by making it easier for the word to spread, but in the classic examples, the marketer is out of the loop.) The Mona Lisa is an ideavirus.

This distinction is vital.

For one thing, it means that constant harassment of the population doesn't increase the chances of something becoming viral. It means that most organizations should realize that they have a better chance with word of mouth (more likely to occur, more manageable, more flexible) and focus on that. And it means, most of all, that viral marketing is like winning the lottery, and if you've got a shot at an ideavirus, you might as well over-invest and do whatever it takes to create something virus-worthy.

La differenza è davvero sostanziale.

mercoledì, ottobre 24, 2007

Il valore di una campagna di viral marketing 



Sono molto scettico sulle campagne di viral marketing come viatico per l'abbassamento del costo contatto. Non sono certamente originali le domande che mi pongo:
  1. E' qualificato il traffico generato dalle campagne di viral marketing non targetizzate?
  2. Se la risposta alla domanda precedente è negativa, perchè così tante campagne sono così generiche?
  3. Il traffico generato ha sempre valore? Come si può monetizzare il buzz?
  4. Il viral marketing è indicato per tutte le aziende/prodotti/target?
  5. Qual'è il valore centrale di una campagna di viral marketing, la sola trasmissibilità del messaggio è di per se un indicatore di successo?
Visto che in Italia accanto a validi professionisti ci sono i soliti improvvisatori, è utile offrire un chiarimento a chi si avvicina per la prima volta a questi temi (disclaimer, non progetto campagne di viral marketing).

Mi interesserebbe conoscere l'opinione di chi su questi temi si sta specializzando.

Sull'argomento c'è troppo "buzz". Se si analizzano le case histories di successo, ci si accorge, che il tema è più complesso di quanto si creda e che non ci sono mai scorciatoie. Ogni caso è sempre differente.

Segno dei tempi 

Il paziente: dottoressa sono venuto da lei perchè mi hanno detto che solo lei mi può aiutare. Ho sognato di avere un incidente di macchina, è grave?

La dottoressa: può capitare, forse lei ha qualche preoccupazione professionale o in famiglia?

Il paziente: non è questo, il fatto che mi preoccupa è che su Second Life non ci sono così tante auto.
L'immagine è di Aeon

martedì, ottobre 23, 2007

Fergalicious for nothing (mash up) 

Low cost viral contents? 



Per chi si occupa di contenuti virali in modo professionale e continuo, è perfettamente chiaro, che non si tratta di attività low cost.

Le vere produzioni per il web richiedono, competenza, professionalità e organizzazione. Non ci sono solo i contenuti generati dagli utenti, non dimentichiamoci dei contenuti creati da "strutture professionali."

Nel video, un bel dietro le quinte.

Produzioni virali 



Non esistono regole o ricette per le "produzioni virali". E' comunque possibile fare delle classificazioni,che tuttavia non devono essere troppo rigide. Devo dire che non mi convince molto la distinzione tra virale spontaneo (negli States lo chiamano organico) e quello sollecitato. Non è quello il punto su cui concentrare l'attenzione.

Tornerò sull'argomento.

Erase the blogstar 

Riflettendo sul marketing virale seconda parte 



Proseguendo nelle riflessioni sul viral marketing, vorrei approfondire una mia affermazione che merita di essere esplicitata e chiarita.

L'obiettivo del marketing virale non è la diffusione del messaggio tout court, perchè se così fosse, gli effetti cesserebbero nel breve periodo. Il vero obiettivo è quindi far si che le audience possano far proprio il messaggio e per far questo vi si devono riconoscere.

Ritengo estremamente riduttiva una concezione che considera queste attività di tipo low cost e in cui l'utente si sostituisce all'impresa nel trasmettere il messaggio. E' il caso dei video divertenti, i cui effetti sono solitamente di breve periodo.

Se l'obiettivo finale è la sola trasmissione del messaggio, la logica è ancora quella della notorietà, con il rischio che l'agenzia incaricata di creare il "contenuto virale", potrebbe concentrarsi troppo sulla viralità dello stesso, puntando tutti gli sforzi sulla trasmissibilità e non sugli effetti.

Si tratta dello stesso errore che ha compiuto chi ha creato campagne pubblicitarie troppo focalizzate sulla dimensione dell'entertainment, sicuramente molto gradevoli e divertenti, ma che hanno "offuscato" il ricordo sul brand e sul prodotto.

Concentrarsi sulla sola trasmissibilità, significa non tenere conto degli obiettivi strategici che possono essere differenti di volta in volta.

La trasmissibilità non è un fine, è solo un mezzo.

E' impensabile definire a priori dei contenuti ad alto tasso di viralità, senza tenere conto del contesto e delle dinamiche di network. (Hp è un'impresa che le conosce molto bene e che le studia da diverso tempo).

Sono assolutamente convinto che non esista la ricetta magica, sono infatti molto d'accordo con Jennifer Heikin direttrice di Google Video, quando dice che: " you can't just create a viral video, it needs to be very organic, it needs to be grassroots, it needs to be very real and the user will realize what is real and what it is not".

Se non vogliamo bruciarci le mani, evitiamo le scorciatoie e cerchiamo di comprendere il vero significato del termine coinvolgimento.

lunedì, ottobre 22, 2007

Viral marketing for dummies 



Forse qualcuno di voi non l'ha ancora visto.

Enjoy

A proposito di internet per il business to business 


Va bene considerare le ricerche dell'Online Publishers Association, un po' di parte, ma i numeri cantano.

Non capisco perchè alcune aziende del b2b continuino imperterrite ad investire in comunicazione come dieci anni fa.

Vogliamo scommettere che al prossimo IAB Forum se ne parlerà?

Speriamo che non si parli troppo di futuro e poi si continuino a proporre solo i banner, nel qual caso le aziende b2b sopra menzionate avrebbero ogni ragione per non voler cambiare.

Questo post è solo un pretesto per parlare di marketing digitale per il b2b

Stay Tuned.

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I linguaggi della rete 


Quando i linguaggi della rete entrano negli stadi, anche sotto forma di insulto, possiamo affermare che internet è uscita dalla "nicchia" del web (via Imlog)

Il reclamo è un'opportunità 


Non sono molti a credere che il reclamo sia un'opportunità.

Se un cliente perde tempo a reclamare, vuol dire che ci tiene ancora alla relazione, a meno che i costi di cambiamento siano per lui troppo alti.

Qualcuno si ricorderà che dalle pagine di questo blog, ho criticato duramente Barclay Card.

In questi mesi, Barclays, ha fatto molti sforzi per riparare all'errore non commesso da loro e oggi mia moglie ed io abbiamo aperto un conto da loro.

Era corretto scriverlo qui.

L'immagine è di Seeds of Growth

Un marketing migliore necessita di clienti migliori 


Vorrei tornare su un tema a me molto caro, è infatti la ragione per cui ho aperto questo blog. Chiamalo marketing usabile, etico, sostenibile, dal volto umano, o come preferisci.

Da una parte si può vedere che i temi dell'etica, della trasparenza, dell'apertura sono sempre più dibattuti, ma dall'altra, nei comportamenti quotidiani, è sotto gli occhi di tutti il fatto che le aziende che li mettono effettivamente in pratica sono ancora troppo poche.

Ho sempre sostenuto che oggi non contano più le dichiarazioni di intento, ma i comportamenti, come espresso in questo straordinario libro che ritengo attuale più che mai.

Brand Manners, è un inno al pragmatismo. Il brand non è una percezione astratta, ma si crea e si rafforza solo quando tra aspettative create dalle diverse forme di comunicazione e comportamenti reali nei confronti dei clienti, non c'è distonia.

Se molte imprese non cambiano il loro atteggiamento nei confronti dei loro clienti è perchè non hanno una ragione per farlo.

Parliamo di customer empowerment, ma spesso come clienti accettiamo ogni forma di sopruso. Ogni cliente ha il diritto di essere rispettato, non c'è alcun dubbio.

Denunciamo il marketing predatorio, le pubblicità intrusive, i programmi televisivi scadenti, l'inadeguatezza della classe politica, ma continuiamo a comprare i prodotti dalle aziende che ci trattano male, continuiamo a prestare attenzione ai programmi televisivi che critichiamo e insistiamo a votare gli stessi partiti/politici che continuano a deluderci.

Se vogliamo un marketing migliore dobbiamo anche noi diventare clienti e cittadini migliori.

Non basta smettere di comprare un prodotto o un servizio se non rendiamo pubbliche le nostre ragioni, abbiamo oggi tanti mezzi per poterlo fare.

Manifestiamo in modo articolato e costruttivo le nostre critiche, aiutiamo chi sbaglia a correggersi, perchè tutti possono sbagliare, ma abbandoniamo chi persevera deliberatamente.

Un'impresa realmente orientata all'utente è intessata ad ascoltare e a migliorarsi. Alle altre invece non importa nulla, fintanto che i loro comportamenti non cominciano a diventare controproducenti.

Il cliente non ha sempre ragione.

Non tutte le critiche e non tutte le lamentele hanno fondamento, qualche volta il cliente sbaglia e non sempre è in buona fede.

Un'azienda che ha dei valori solidi ed una buona reputazione è in grado anche di dire di no, motivando le proprie decisioni.

Non si può migliorare da soli.

Sono assolutamente convinto che il miglioramento sia sempre un processo biunivoco, clienti migliori creano aziende migliori e aziende migliori creano clienti migliori.

Il vero problema sta nel come creare circoli virtuosi.

Avete qualche idea in merito?

L'immagine è di Mixomatose.

Riflettendo sul marketing virale prima parte 

Vorrei inserirmi nel dibattito sul marketing virale attualmente in corso. Visto che c'è così tanta confusione i tentativi di chiarimento sono davvero necessari.

Ho iniziato ad occuparmi di marketing virale nel 1998 e ho pubblicato il primo articolo sull'argomento sulla rivista Web Marketing Tools, (che oggi non esiste più). Vorrei riprenderne alcuni concetti chiave per stimolare la conversazione.

Che cosa è il marketing virale?

As much as we may fear or hate viruses both biological and computer varieties these self-perpetuating, self-propagating entities have important lessons for marketers.

Chiamatelo come volete, passaparola, word of mouth (o meglio word of mouse), oppure marketing virale. Di definizioni ne esistono davvero un grande numero. John Audette brillante moderatore di I-sales, prestigiosa mailing list americana, ha lanciato un sondaggio per trovare un termine adatto: organic marketing, perpetual marketing, self propagation marketing, snowball marketing, whisper marketing, chain reaction marketing, sono alcuni suggerimenti che sono stati proposti da alcuni iscritti alla lista. (1998)

Raynay Valles ci offre una definizione che riporto integralmente: “a way of marketing that leverages every contact with a customer or potential customer into additional contacts with potential new customers.”

Non si tratta solo di costruire un processo di “attenzione”, ma soprattutto di ottenere un “palcoscenico virtuale” in cui non importa se si è “star” o “fan” purché il proprio ruolo sia riconosciuto ed apprezzato. Come scrive Michael H. Golhaber: “today what counts more and more is performing, not producing in the old routines sense of factory production”.

Quali sono i principi del marketing virale?

REGOLA NUMERO UNO: Lasciate che sia il comportamento della Community target a far si che venga diffuso il messaggio

I virus non si diffondono casualmente. Sono i comportamenti dei loro “portatori” attraverso le interazioni sociali (e-mail, chat, web ecc) che permettono l’estensione da specifiche Comunità a “territori virtuali” più estesi. Scopo del Web Marketer è quello di creare entusiasmo, trasformando i cittadini della rete in “ambasciatori virtuali”. I messaggi dei comunicatori digitali, sono costruiti in modo tale che essi vengano diffusi dai destinatari come parte del loro stesso interesse.

REGOLA NUMERO DUE: Assomigliate al portatore e non al virus. (Il messaggio si deve diffondere con il linguaggio del portatore e non con quello del diffusore)

La memetica è una disciplina che studia lo sviluppo dei concetti e delle idee e la loro trasmissione. I memi sono singole unità di informazione che hanno la capacità di autoreplicarsi attraverso una sorta di “contagio culturale” in cui il cervello è il portatore sano. Non sorprende che tra gli studiosi più attenti della memetica ci siano brillanti pubblicitari.

REGOLA NUMERO TRE: Affinchè un virus si diffonda occorre raggiungere una massa critica
Un epidemia si sviluppa quando il virus ha raggiunto una certa scala. Se un virus raddoppiasse ogni anno e nel primo anno colpisse solamente l’1% dei portatori il secondo anno ne colpirebbe il 2% ed il quinto anno il 16% divenendo epidemico. Possiamo considerare metaforicamente la diffusione di una moda come un virus che agisce sul cervello e spinge gli “ammalati” a comportamenti bizzarri come: calzare scarponi da montagna in città, fare telefonate inutili con il nuovo telefonino, farsi inserire un anello nel naso o andare al cinema a vedere film noiosissimi e raccontare agli amici di essersi divertiti.
Gabriel Tarde ha definito la moda “un’invenzione seguita da un’imitazione”. (1901)

Il primo equivoco sul marketing virale.

L'obiettivo del marketing virale non è la diffusione del messaggio tout court, perchè se così fosse, gli effetti cesserebbero nel breve periodo. Il vero obiettivo è quindi far si che le audience possano far proprio il messaggio e per far questo vi si devono riconoscere.

Secondo equivoco sul marketing virale

Non esistono video o strumenti virali per definizione o preferibili, per per una migliore relazione tra messaggio e portatore. La viralità sta nel messaggio e non nel canale di diffusione, anche se i canali digitali per le loro caratteristiche, sono particolarmente adatti per la diffusione di messaggi virali.

Non vorrei mettere troppa carne sul fuoco e mi limiterei a proporre la discussione su questi due punti.

Voi che ne pensate?

sabato, ottobre 20, 2007

Tainted Rescue 

venerdì, ottobre 19, 2007

Marketing Integration 


I clienti chiedono a gran voce alle loro agenzie un "aiuto" per progettare strategie di marketing integrato, ma poi spesso scelgono più agenzie e molto spesso lo fanno per disperazione.
  1. The client feels burned by the first agency. The relationship started with champagne and ended in disillusioned tears. Now it is stuck with a lot of work that needs to get done, and an agency it doesn't trust to do it. It doesn't want that to happen again.

  2. There is no inherent desire to manage multiple relationships. That is frankly tumultuous. But what it does is allow various agencies to zero in on their core competencies, and have agencies play to their strengths for various parts of the client's business.

  3. Optimizes each agency by keeping them on their toes with competing agencies vying for the attention and respect of the same client on a daily basis.
Per me questo non è positivo.

L'immagine è di Knolleary

Quale futuro per l'industria dell'advertising? 


Le nuove sfide di brand sono troppo ampie per l'industria dell'advertising?

Se lo chiede Adliterate, uno dei blog più brillanti sul tema del branding.

"The most important part of engagement is the brand idea" - not the ad, not the widget, not interactivity, not Twiggy, not hours of UGC, but the brand idea".

La realtà è che i clienti, non chiedono più campagne pubblicitarie, ma grandi idee di brand.

"Big brand ideas are currently big news in marketing land. I mean really big brand ideas, not short-lived creative ideas that sparkle momentarily and then fizzle away as fast as they arrived. Nor one-dimensional advertising ideas that offer tactical responses to specific business issues. But whopping great ‘are you pleased to see me or is that a canoe in your pocket?’ brand ideas."......

....The Campaign for Real Beauty seems to me, as if it were the reason that Dove exists in the first place. The same goes for Honda’s Power of Dreams, Land Rover’s ‘Go Beyond’ idea, Vodafone’s belief in the power of now and Persil’s, much maligned, Dirt is Good philosophy.

Sembra che l'industria dell'advertising, salvo rare eccezioni arranchi di fronte al cambiamento

...However, it is not the global shortage of quality ideas that concerns me most. It is the role that advertising plays in serving those ideas. In short, while a brand idea can never be too big, it may well be too big for advertising."

Ha una profonda necessità di ripensare la propria "value proposition".

Advertising has always liked to see itself as the window onto the brand’s world. That’s what we mean by brand advertising – here is the whole of the brand in forty seconds. And that is why advertising is usually seen as the lead discipline - it’s the one that most succinctly sums up what the brand is all about.

That was fine when ideas were modest and adcentric, but really potent brand thoughts are often short-changed when forced into the format of an ad. More than this, the desire to communicate the entire brand experience can compromise advertising’s ambition to sell. This is the enduring criticism of the ‘Dirt is Good’ campaign -that the idea is far bigger than can be dramatised in an ad and attempts to do so have not converted into sales.

Le sfide e le sollecitazioni sono più forti che mai

Maybe it is time to free advertising from the need to represent the entirety of the brand idea and recognise that other disciplines are capable of doing this in a richer and more rewarding way. In particular it is time to recognise that for many brands it is their online experience that should be delivering the big brand idea in all its technicolour glory. After all advertising, whether analogue or digital, is always sharper when it has latched onto a specific business problem rather than wafting around conjuring up beautiful brand worlds.

I rischi sono molto reali

Of course the bad news for advertising agencies is the decline of the set piece ‘brand ad’ as the discipline gets back to the job of selling. Seeing advertising recast as the new below-the-line discipline is unlikely to be popular in Soho

Ma ci sono anche tante opportunità, per chi le sa cogliere, soprattutto per chi vuole entrare nel mercato della consulenza di brand.

However, the good news for advertising agencies is that few of the brand’s other business partners are capable of framing the big idea in the first place. And this remains the most serious challenge for stand-alone digital agencies in the era of the big brand idea.

A cosa servono le idee non ben eseguite?

Come fanno notare alcuni commentatori al post di Richard Huntigton, la differenza sta soprattutto nella capacità di eseguire le idee. Scrive in particolare Phil Teer:

A true brand idea is one that affects an entire organisation and doesn't just sell more product in a variety of different channels and executions.

E' molto chiaro il pensiero di Dominic S-m quando scrive che:

The role for ad agency (or any discipline) is as strong as it's ever been because ideas are realised through execution. There is no way of telling whether you have a good idea until you have tried to execute it across media. Ideas get honed and sharpened and revamped and deepened through the creative development process. They get enriched by other agencies as they apply it to their area of expertise. Along the way ideas get challenged by research and by client comment. The 'big idea' comes at the end of a process, not the beginning.

The power of the idea is in the execution. You may call Vodaphone's Power of Now a 'big idea' but is it any bloody good? Does it engage you? Does it move you? Or is it just some bland matching luggage filled with contrived messaging like 'the internet is now mobile'?

Le strade sono ben tracciate.

La pubblicità non è certamente morta, nessuno può dichiararlo in buona fede, ma è necessario essere consapevoli che è solo una delle componenti della comunicazione di impresa e che quest'ultima è solo una delle espressioni di un brand.

E' indispensabile un salto di qualità, le idee di brand si devono trasformare in esperienze di brand.

Quali sono le sfide per le agenzie di advertising e per i consulenti di comunicazione?

Sono convinto che nei prossimi anni le principali sfide riguarderanno i seguenti aspetti:

  • Superamento della logica prettamente pubblicitaria
  • Esplorazione di un numero maggiore di "territori della comunicazione"
  • Media neutrality
  • Maggiore orientamento ai risultati (e relativo coinvolgimento nel loro conseguimento)
  • Abbattimento dei compartimenti stagni (centro media/agenzia o online/offline)
  • Riprogettazione delle competenze e degli strumenti di lavoro
  • Ibridazione delle logiche (più creatività, ma anche più misurabilità)
  • Conoscenza approfondita delle dinamiche relazionali di rete
  • Conoscenza approfondita di piattaforme e tecnologie abilitanti per la comunicazione
  • Maggiore investimento in ricerca e sviluppo e in formazione continua
  • Maggiore investimento nei talenti
  • Apertura di un dibattito aperto e trasparente su più tavoli e più fronti sull'evoluzione della comunicazione di impresa e relative ricadute per i clienti ed i fornitori di servizi di comunicazione
  • Ricambio della leadership
  • Riorganizzazione dei processi produttivi
Voi cosa ne pensate?

L'immagine è di Adliterate

Ignoranza digitale 

Forse dovremmo smetterla di scrivere di innovazione, di progresso tecnologico e di comunicazione digitale. E' una perdita di tempo. Credo che si debba anche smettere di organizzare Barcamp perchè contribuiscono ad "aumentare la consapevolezza del digital divide". Forse sarebbe più comodo che rimanessimo tutti ignoranti digitali.

Che speranza possiamo avere di essere ascoltati da una classe politica che critica "i bamboccioni" perchè non escono di casa e si rendono indipendenti, ma che continua ad ostacolare il ricambio generazionale a tutti i livelli?

Come si fa a tendere al progresso, se questo non lo si capisce?

Sembra che nella discussione della riforma dell'editoria, qualcuno abbia avuto la pensata di proporre di iscrivere anche i blog che hanno finalità editoriali ad un registro (ROC).
  1. Come si fa distinguere un blog editoriale? Quali sono i criteri?
  2. Quali sono i blog oggetto di iscrizione, quelli italiani, quelli in italiano?
  3. I blog italiani che scrivono in inglese devono iscriversi? E quelli americani che scrivono in Italiano?
  4. Chi è responsabile penalmente di un commento? L'autore dello stesso o chi lo ospita?

Come è possibile legiferare su temi così importanti come la televisione, l'editoria, l'informazione mostrando così tanta ignoranza di ciò che sta avendo luogo a livello globale?

Non può che essere così, visto che temi importanti come la Net Neutrality non fanno minimamente parte dell'agenda politica.

Non si può parlare di nuovo marketing, se si vive e opera in un "Paese Vecchio."

Update: Il testo del disegno di legge.

giovedì, ottobre 18, 2007

Virus della mente 



Quante persone che dichiarano di fare "marketing virale" non hanno mai letto Richard Dawkins o Susan Blackmore.

Anche se recentemente Dawkins ha parzialmente ammesso che le sue teorie non hanno realmente una base scientifica, io ritengo il suo contributo egualmente importante.

Ma è marketing non convenzionale? 


Anche nei giornali spesso chi scrive un articolo non sceglie il titolo.

Succede a me con il mio prossimo corso di Marketing Non Convenzionale che avrà luogo il 5 e 6 novembre a Milano.

Devo dire di non essere particolarmente entusiasta del termine "non convenzionale", perchè mi costringe regolarmente a tracciare distinzioni tra ciò che è convenzionale e ciò che non lo è, cosa difficilissima se non impossibile e comunque sempre opinabile.

Titoli a parte, sto lavorando ultimamente su strade meno battute, quelle che qualcuno può anche definire i mari dell'oceano blu della comunicazione.

Marketing Liquido, Deep Branding, sono solo "lenti" per vedere le cose in modo differente, con la piena consapevolezza che se non si progetta valore si crea solo hype. Non ne abbiamo davvero bisogno.

Smau 2007: Il marketing liquido 


Visto che me l'avete chiesta in tanti, ecco la mia presentazione al mio seminario allo Smau 2007.

martedì, ottobre 16, 2007

Citazioni carpiate 



Cosa succede quando un video di Rihanna viene mixato con uno di Laura Brannigan che canta una cover di Raf, creando un bellissimo mashup?

Vedere lontano 



Come ci ha insegnato Isaac Newton, per vedere lontano, occorre stare sulle spalle di un gigante.

Ecco perchè per cercare di ragionare sul futuro dell'advertising è così importante ascoltare le parole dei suoi grandi protagonisti, che hanno ancora molto da insegnare.

Update: Zeno mi fa notare che la citazione ripresa da Newton è ancora più antica.

I seminari di Smau 2007 

Quest'anno ho frequentato meno riunioni di blogger e più incontri per persone che hanno la necessità di avvicinarsi ai temi del digitale.

Dopo i TTG Incontri, il Travelcamp è la volta domani dello Smau, dove tengo un seminario sul marketing liquido.

Non mi soffermerò sui social media e sui nuovi strumenti del marketing collaborativo, argomenti che verranno trattati in altri seminari. Cercherò invece di illustrare i principali cambiamenti a livello internazionale nell'industria dell'advertising, che sta cercando di reagire alla crisi dell'attenzione dello "spot".

C'è un grande bisogno di di rinnovare approcci, schemi, linguaggi e metriche. La diffusione di nuove piattaforme digitali e la crescita degli user generated content stanno influenzando profondamente la comunicazione di impresa.

Sarà per me una grande opportunità di confronto con il pubblico su questi temi. Spero di incontrare qualcuno di voi.

Profeti digitali 


E' facile oggi prevedere, un futuro, anzi no, descrivere un presente digitale, per quanto concerne l 'industria dell'advertising, molto meno offrire degli strumenti operativi.

Anche quest'anno nel corso della conferenza annuale dell'ANA, Association of National Advertisers, associazione delle agenzie americane di comunicazione, si è cercato di fare il punto della situazione.

Il panorama mediale vede sempre di più i media digitali protagonisti, come ha fatto notare Bob Liodice, presidente dell'Ana.

Un esempio fra tutti American Express, una società che spendeva solo pochi anni fa, l'85% del suo budget in televisione e che oggi ha ridotto a circa il 30%. (Mi sembrava già tanto quando due anni fa riportavo di una riduzione del 30% del budget televisivo)

Negli Stati Uniti il dibattito sul cambiamento è sicuramente molto articolato. Non si può dire lo stesso per il nostro Paese.

Secondo Liodice gli sforzi di rinnovamento devono riguardare quattro aree:

1. Reinvent brand building to reflect the constantly changing environment;
2. Look to integrated marketing communications and weave in new nontraditional channels;
3. Leverage marketing measurement and accountability by creating a culture of accountability;
4. Reinvent the marketing organization to be in precise alignment with the business' overarching goals.

Il problema dell'advertising oggi non è solo di creatività, ma di profondo ripensamento strategico. C'è qualcuno in grado di dire che non è così?

Update: Adverting Age offre la copertura video dell'evento qui.

lunedì, ottobre 15, 2007

UGC perchè? 


Questa figura, tratta da una recente ricerca di eMarketer sta facendo il giro della rete. Molti blog l'hanno pubblicata senza aggiungere alcun commento.

domenica, ottobre 14, 2007

A proposito di intelligenza combinativa 



Sperimentare, rileggere i classici, ricombinare, non sono oggi opzioni, ma una necessità per la sopravvivenza del pensiero creativo.

Le idee sono la vera risorsa della nuova era digitale.

My name is Mozart, James Mozart 



Non è mancanza di rispetto, tutto oggi viene reinterpretato, riletto, ridigerito e recuperato.

I puristi si scandalizzano, ma grazie alle contaminazioni, più o meno serie, si rende omaggio ai "giganti della cultura" e si cerca l'ispirazione da chi ha molto da insegnare, ma soprattutto si trovano nuovi pubblici per i grandi classici.



Le nuove generazioni di creativi, possono trovare in rete ogni genere di ispirazione per nuovi progetti.



Attraverso i servizi di videosharing, gli utenti stanno già creando nuovi "palinsesti flessibili", creando nuovi percorsi di fruizione, i programmatori televisivi ne dovranno tenere conto.




Vedrete che sentiremo parlare sempre di più di intelligenza combinativa. Sull'argomento ho qualche idea in merito, se avrete pazienza di seguirmi.

venerdì, ottobre 12, 2007

Sliding blogs 



Ve lo ricordate il film Sliding Doors?

A volte la vita prende una direzione inaspettata per effetto delle nostre decisioni e dei nostri comportamenti. Cosa sarebbe successo se fossimo arrivati prima, dopo? Cosa sarebbe successo se non avessimo parlato o se avessimo detto qualcosa di diverso?

I social media sono una grande palestra per capire noi stessi e gli altri.

Cosa sarebbe successo se fossimo stati più gentili? Cosa sarebbe successo se non avessimo ceduto alla provocazione? Cosa sarebbe successo se avessimo detto qualcosa di diverso? Cosa sarebbe successo se fossimo stati più chiari nell'esporre il nostro punto di vista?

Promuovere o imparare?

C'è una grande opportunità per una azienda che vuole frequentare i social media di riflettere su stessa, di comprendere perchè i propri clienti attuali e futuri spesso reagiscono come reagiscono, perchè si emozionano, si arrabbiano, si appassionano, amano o detestano.

Non è che un'azienda non possa promuoversi attraverso i social media, ma ci sono tante altre cose che possono creare un vantaggio competitivo maggiore.

Non è una grande opportunità?

giovedì, ottobre 11, 2007

The cult of personality 

Blog, idee interessanti e la sindrome della velina 


Ma se è vero quanto segue

"Il bello del blog è proprio che, come diceva Robert Scoble, qualsiasi ragazzo con un blog da dieci accessi al giorno può postare un nuovo trucco della sua consolle ed essere letto dal mondo intero nel giro di un'ora.

L'idea che le idee interessanti provengano solo dalle persone autorevoli è morta! Ci vuole così tanto a capirlo? Gli esempi non sono sotto gli occhi di tutti? Che disperazione."

Come mai gli stessi blogger che sono d'accordo con questa affermazione, coltivano con tanta tenacia il culto della personalità, cercando di apparire in ogni intervista video?

E se si rompesse qualche specchio, non si darebbe nuovamente spazio alle idee interessanti? (via catepol)

Credits per la foto

Stockolm Haze 



Non è rottura. Si rilegge, si riprende, si cita e si va avanti ad esplorare per contaminazioni successive.

La pubblicità migliora l'economia? 

Sembrerebbe di si leggendo una ricerca sponsorizzata dall'industria della pubblicità. (La potete scaricare qui).

Non metterò in discussione l'indipendenza della ricerca, non ho alcuna ragione di ritenere che non lo sia, mi permetto di dissentire dall'interpretazione dei risultati.

Credo che si sia trascurato di far notare che un eccesso di pubblicità crea "inquinamento" per un overload informativo, per questo ritengo che non abbiamo bisogno di più pubblicità, ma di pubblicità migliore.

Se la pubblicità fosse ancora più rilevante, ancora più permissione based, ne basterebbe di meno, liberando budget a disposizione per altre attività di comunicazione più user centered.

La pubblicità è solo una delle forme di comunicazione commerciale. Ce ne sono ancora tante da esplorare.

L'immagine è di Nextly
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